Attraversammo il paese di Arzo.
Era un paese semideserto all’alba e le donne che andavano a prendere il latte non ci guardavano. Era strano, eravamo quattro persone che non appartenevano certo a quel paese, beh... loro voltavano la faccia dall’altra parte, erano goffe, imbarazzate, non ci volevano guardare.
Arrivammo al Comando e lì, in un corridoio ad aspettare.
E in quelle ore in cui aspettammo, aspettammo, aspettammo, aspettammo, c’era una serie di quadri con le farfalle delle montagne svizzere e tutte le farfalle avevano lo spillo che le teneva ferme; e io mi ricordo che ebbi un pensiero fugace (già che non mi piaceva per niente l’idea della farfalla con lo spillo, come mio gusto non l’avrei mai fatto) e dissi:
«Non è che sono anch’io una farfalla con lo spillo?»
Mi ricordo di aver fatto questo pensiero e poi di averlo scacciato perché ero felice, ero lì; quando poi fumo ricevuti... Fu terribile.
Fu terribile questo ufficiale svizzero-tedesco, che ci aveva fatto aspettare ore senza un bicchier d’acqua, senza chiederci se volevamo acqua calda, non lo so... era inverno, era dicembre.
Mio papà cominciò a parlare:
«Sa, siamo qua, io, mia figlia che ha 13 anni per fuggire da quello che ci aspetterebbe in Italia...»
Questo rispose:
«Lei è un impostore, lei è un impostore che non vuole andare militare! Non è vero che in Italia succede questo agli ebrei!» Senza sapere, da ignorante, che gli ufficiali ebrei come mio padre non avevano diritto di appartenere all’esercito, anche se erano stati decorati nella Guerra precedente. Quindi non avrebbe potuto in nessun caso essere richiamato.
E mio papà disse:
«Mi scusi le pare che se fosse questa l’idea... io porterei mia figlia, che ha 13 anni, che è il bene della mia vita, qui sulle montagne?»
Questo disse:
«Ma no, questa è una ragazza sciocca, che siccome in Italia c’è la guerra e qui la guerra non c’è, viene certo in villeggiatura!»
Mio padre disse:
«Ma questi due vecchi signori dovrebbero aver passato la montagna, d’inverno, per venire qui, perché?»
Giulio e Rino Ravenna, che morirono poi tutte e due, Rino si suicidò a San Vittore e Giulio morì di stenti nel campo di Fossoli, per denutrizione...
«Queste poi sono delle persone che a noi danno solo fastidio, dei vecchi da curare...»
E loro, i due Ravenna, mostrarono che avevano tutti i mezzi economici, come risulta dal verbale dell’arresto in Italia (lo storico Giannantoni, che è un mio amico, mi dette il verbale originale del nostro arresto in Italia, dove risultano i soldi che avevano i Ravenna e quelli che avevamo noi) e mio mio padre disse a questo ufficiale:
«Ma guardi che io mi posso mantenere, posso mantenere me e la mia bambina.»
«Ah, viene qui a fare il signore? Noi abbiamo bisogno di gente che lavora!»
«Ma noi possiamo lavorare...»
Ci disprezzò, ci trattò malissimo, e quando io capii che tutta la paura, tutti gli sforzi, tutto il dolore di lasciare la casa erano stati inutili, io che non sono mai stata capace di fare queste scene, che non avevo mai fatto scene nella vita, mi buttai per terra, come una disperata gli abbracciai le gambe, lo pregai:
«La prego, la supplico ci tenga non ci rimandi indietro, ci uccidono!»
E lui mi mandava via, come si fa quando ci sono quei cuccioli che ti vengono addosso una volta, due volte e alla terza dici:
«Vai che mi hai rotto!»
Questo ci mandava via in tutti i modi, non ci ha tenuto, mi ha scacciato dalle sue gambe, gli davo fastidio! Fu un assassino quell’ufficiale, che condannò a morte tre persone, perché solo io sono tornata indietro a raccontare, e non ho mai chiesto quando son tornata, non ho mai voluto sapere chi fosse.
Era un paese semideserto all’alba e le donne che andavano a prendere il latte non ci guardavano. Era strano, eravamo quattro persone che non appartenevano certo a quel paese, beh... loro voltavano la faccia dall’altra parte, erano goffe, imbarazzate, non ci volevano guardare.
Arrivammo al Comando e lì, in un corridoio ad aspettare.
E in quelle ore in cui aspettammo, aspettammo, aspettammo, aspettammo, c’era una serie di quadri con le farfalle delle montagne svizzere e tutte le farfalle avevano lo spillo che le teneva ferme; e io mi ricordo che ebbi un pensiero fugace (già che non mi piaceva per niente l’idea della farfalla con lo spillo, come mio gusto non l’avrei mai fatto) e dissi:
«Non è che sono anch’io una farfalla con lo spillo?»
Mi ricordo di aver fatto questo pensiero e poi di averlo scacciato perché ero felice, ero lì; quando poi fumo ricevuti... Fu terribile.
Fu terribile questo ufficiale svizzero-tedesco, che ci aveva fatto aspettare ore senza un bicchier d’acqua, senza chiederci se volevamo acqua calda, non lo so... era inverno, era dicembre.
Mio papà cominciò a parlare:
«Sa, siamo qua, io, mia figlia che ha 13 anni per fuggire da quello che ci aspetterebbe in Italia...»
Questo rispose:
«Lei è un impostore, lei è un impostore che non vuole andare militare! Non è vero che in Italia succede questo agli ebrei!» Senza sapere, da ignorante, che gli ufficiali ebrei come mio padre non avevano diritto di appartenere all’esercito, anche se erano stati decorati nella Guerra precedente. Quindi non avrebbe potuto in nessun caso essere richiamato.
E mio papà disse:
«Mi scusi le pare che se fosse questa l’idea... io porterei mia figlia, che ha 13 anni, che è il bene della mia vita, qui sulle montagne?»
Questo disse:
«Ma no, questa è una ragazza sciocca, che siccome in Italia c’è la guerra e qui la guerra non c’è, viene certo in villeggiatura!»
Mio padre disse:
«Ma questi due vecchi signori dovrebbero aver passato la montagna, d’inverno, per venire qui, perché?»
Giulio e Rino Ravenna, che morirono poi tutte e due, Rino si suicidò a San Vittore e Giulio morì di stenti nel campo di Fossoli, per denutrizione...
«Queste poi sono delle persone che a noi danno solo fastidio, dei vecchi da curare...»
E loro, i due Ravenna, mostrarono che avevano tutti i mezzi economici, come risulta dal verbale dell’arresto in Italia (lo storico Giannantoni, che è un mio amico, mi dette il verbale originale del nostro arresto in Italia, dove risultano i soldi che avevano i Ravenna e quelli che avevamo noi) e mio mio padre disse a questo ufficiale:
«Ma guardi che io mi posso mantenere, posso mantenere me e la mia bambina.»
«Ah, viene qui a fare il signore? Noi abbiamo bisogno di gente che lavora!»
«Ma noi possiamo lavorare...»
Ci disprezzò, ci trattò malissimo, e quando io capii che tutta la paura, tutti gli sforzi, tutto il dolore di lasciare la casa erano stati inutili, io che non sono mai stata capace di fare queste scene, che non avevo mai fatto scene nella vita, mi buttai per terra, come una disperata gli abbracciai le gambe, lo pregai:
«La prego, la supplico ci tenga non ci rimandi indietro, ci uccidono!»
E lui mi mandava via, come si fa quando ci sono quei cuccioli che ti vengono addosso una volta, due volte e alla terza dici:
«Vai che mi hai rotto!»
Questo ci mandava via in tutti i modi, non ci ha tenuto, mi ha scacciato dalle sue gambe, gli davo fastidio! Fu un assassino quell’ufficiale, che condannò a morte tre persone, perché solo io sono tornata indietro a raccontare, e non ho mai chiesto quando son tornata, non ho mai voluto sapere chi fosse.
Nel mio ricordo lui è solo il boia.
E la sua sentenza fu eseguita dai nazisti.
Ci fece riaccompagnare indietro, dalle guardie, con la baionetta infilzata. Mi ricordo le due guardie sghignazzanti con quei vecchi fucili che ci portarono più o meno là dove eravamo passati alla mattina. Tornammo indietro, piovigginava, veniva la notte. Io con le mie gambe svelte corsi verso quella rete per cercare di trovare un passaggio... Suonò tutta la suoneria della frontiera. Era uno squillo continuo, in quel silenzio dell’inverno sulle montagne. Era una suoneria che non finiva più, con un’eco... e lì, su quella rete fummo arrestati dai finanzieri italiani in camicia nera.
E la sua sentenza fu eseguita dai nazisti.
Ci fece riaccompagnare indietro, dalle guardie, con la baionetta infilzata. Mi ricordo le due guardie sghignazzanti con quei vecchi fucili che ci portarono più o meno là dove eravamo passati alla mattina. Tornammo indietro, piovigginava, veniva la notte. Io con le mie gambe svelte corsi verso quella rete per cercare di trovare un passaggio... Suonò tutta la suoneria della frontiera. Era uno squillo continuo, in quel silenzio dell’inverno sulle montagne. Era una suoneria che non finiva più, con un’eco... e lì, su quella rete fummo arrestati dai finanzieri italiani in camicia nera.
Pagine 172 - Prezzo di copertina € 13,00
In appendice i testi delle leggi razziali dal 5 settembre 1938 in poi, con le immagini dei giornali dell'epoca.
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